curiosità stroriche padovane  1°

Scoperta la chiave dell’impianto, voluto da Pietro D'Abano, del ciclo di affreschi astrologico del Palazzo della Ragione di Padova.
(di Daria Mueller)

Pietro d’Abano (Abano 1250?- Padova 1315?, sospettato di eresia e con un processo in corso)
Si ritiene, ma io ne sono certa, che l’ideatore del primitivo ciclo di affreschi astrologici del Salone – rifatto e restaurato dopo le duplici distruzioni che abbiamo citato - , sia stato Pietro d’Abano, uomo che concluse proprio a Padova, in qualità di professore di medicina, filosofia e astrologia -discipline, a quel tempo, fra loro inscindibili - la sua brillante carriera di studioso di fama internazionale, come si direbbe oggi.

Una morte la sua arrivata giusto in tempo – che lo avesse previsto? - per non finire al rogo come eretico (una sorte che toccò solo alle sue ossa, disseppellite). Al rogo ci finì invece veramente, e di lì a poco , un altro cultore della Scienza delle Stelle come lui: Cecco d’Ascoli (Firenze 16 settembre 1327).

Pietro d’Abano era ritornato nei suoi luoghi natali dopo aver girato il “mondo”della cultura del tempo, ovverosia – e citiamo i luoghi certi - dopo aver insegnato per anni a Parigi, così famoso da essere definito “il secondo Aristotele”, e aver fatto un lungo soggiorno a Costantinopoli per imparare il greco.

Il suo sapere enciclopedico e la sua intelligenza dialettica e propositiva emergono con tutta evidenza nelle sue due opere più note: “ Il conciliatore delle differenti opinioni dei filosofi e nello specifico dei medici” e “ Il delucidatore dei dubbi dell’astronomia ”.
Già dai titolo (Conciliator…Lucidator) si capisce l’impostazione illuminista del grande dotto che cerca non tanto e non solo di confutare le diverse opinioni delle diverse autorità, ma di far ordine in discipline così vaste e complesse quali la medicina (medico=filosofo) e l’ astrologia (astrologo=astronomo), il massimo cioè del sapere scientifico del tempo.
E’ pure in queste opere (naturalmente è in primo piano il Lucidator) che possiamo trovare la risposta più chiara alle accuse di magia e negromanzia con cui si ammantò il suo nome, alle leggende che lo mostravano mago.
Pietro d’Abano è il primo a fare una netta distinzione tra la scienza astrologica, basata sulla matematica e su una visione cosmologica, e le capacità solo evocative della magia. Con tutto ciò egli non disprezza certo la magia, che, pur nei suoi ambiti limitati (quali l’uso di immagini o talismani), può contribuire al benessere dell’uomo.

A riprova dei distinguo tra le varie arti del divinare o dell’interrogare la natura, si vedono nel Salone specifici riquadri, disseminati ad hoc nei vari comparti:
*in quello di maggio/Gemelli c’è l’Alchimista, davanti al suo athanor, il forno alchemico;
* in quello di luglio/Leone) ci sono e il Mago, seduto nel suo cerchio evocatore e il Negromante;
e nel comparto di febbraio/Pesci, dulcis in fundo, proprio sotto il riquadro di Giove Olimpio, c’è l’Astrologo stesso con le braccia protese verso le stelle.

Si può invece con sicurezza affermare che Pietro d’Abano incarna la fede negli astri nel modo più completo e assoluto (ed era questa implicazione materialistica a renderlo inviso alla Chiesa): è dalla luce e virtù delle stelle che tutto dipende, non solo per quanto riguarda i fenomeni naturali, ma anche per il singolo uomo. Così l’oroscopo , con il suo particolare corredo astrale, non è altro che una visuale parziale del cielo stellato, parziale sì, ma esclusiva e strettamente personale.

Questa visione totalitaria e armonicamente rassicurante ad un tempo (a ciascuno la sua stella), si avverte ancor oggi entrando nel Salone. Ma certo doveva essere particolarmente fascinosa e solenne nel ‘300 con l ‘immensa volta dipinta da Giotto.

Lassù il respiro solenne del cielo stellato faceva tutt’uno con il regolare, calcolabile incedere dei 7 pianeti e dominava la terra, centro dell’universo; e sotto, nel mondo sublunare – quello per l’appunto presente negli affreschi -, la vita degli uomini trascorreva in tutti i suoi registri, in tutte le sue attività e manifestazioni, anche psicologiche e caratteriali, in armonia con il tempo e le stagioni , che sono sempre le stelle a dettare e a variare.

Il Comune, il libero Comune padovano, quello che per avere il grande luminare in cattedra derogò dalla normativa – già operante alla fine del ‘200 - che lo vietava (un modo per evitare la formazione delle baronie e la libera circolazione degli intelletti) e che dunque era ben consapevole del lustro che la sua presenza comportava nella città, gli lasciò carta bianca nell’allestire quel Salone che celebrava la grandezza della città e dunque dei suoi governanti.

Ed è proprio questa libertà che pure si respira nel Salone: non ci sono esaltazioni di rito, retoriche sottolineature di ruoli o funzioni. E’ l’uomo il vero protagonista: nobili, monaci, studiosi, lavoratori, artigiani e commercianti, non costituiscono delle classi separate. Mescolati nei vari riquadri del mese di turno, soggiacciono tutti ugualmente all’influsso dello stesso pianeta, naturalmente con risultati consoni alla loro posizione sociale.

E’ infatti proprio questa teoria dei “figli del pianeta”- ma ce ne sono altre, di cui, in questo sintetico flash non è il caso di parlare -, teoria impostasi nella seconda metà del ‘300, ma che Pietro anticipa splendidamente, ad informare le varie attività, ma anche attitudini e tendenze così ben raccontate nei vari mesi fino a creare una sorta di democrazia astrale. Inoltre, giacché, salvo rarissime eccezioni, le figure si muovono da sinistra verso destra, a partire dal mese di marzo/Ariete (v. lo Schema generale), si crea una sensazione unitaria di cammino/pellegrinaggio che fa tutt’uno con la vita stessa.

Ma nel Salone c’è anche molto di più: c’è un senso apparente, un quieto confidare nell’armonia tra cielo e terra, e c’è un senso più riposto, riservato ai soli iniziati.

Ora è tempo di svelare questa seconda trama, sulla quale il libero Comune pure non azzardò di intervenire, se mai – come io penso – l’ avrà capita. Certo essa è rimasta fino ad oggi nascosta.

Il “segreto” più semplice .
Nel tracciare il disegno unitario della grande sala, nel vincolarla ad un principio di unità Pietro d’Abano ricorse alla cabala dei numeri, quella cabala mistica che era patrimonio comune della cultura del tempo e che testimonia della diffusione (a partire dal XII sec.) del pensiero mediorientale (ebraico e islamico insieme e che comunque ingloba l’ antico pitagorismo). Ricordo che gli arabi sono stati nel medioevo i trasmettitori del pensiero e astrologico ed ermetico.
Per affrontare il tema nella maniera più diretta, apro una parentesi sull’opera di un grande contemporaneo di Pietro: Dante Alighieri (1265-1321).

Se nella Vita Nova è il l numero 9 a trionfare ( 9 è quadrato di 3, numero della trinità e dell’uno insieme: 1+1+1=3) , perché è il numero di Beatrice ( dal primo incontro a 9 anni, alle disquisizioni sull’età della sua morte e l’ammissione finale che 9 significa “miracolo”, alla cui radice c’è la “mirabile trinità”); nella Divina Commedia ci saranno il numero 3 (le cantiche, l’uso della terzina) – il 7 dei cieli del Paradiso, le sfere disegnate dai tempi di rivoluzione dei 7 pianeti; il 99 (la somma delle tre cantiche di 33 canti ciascuna, considerando il primo canto un prologo), numero legato al 9 e al multiplo di 11, quel numero 11, che porterebbe, secondo Guèno (L’esoterismo di Dante, 1925) dritto dritto ai Templari e al loro sterminio all’inizio del ‘300.
Ora nel Salone c’è, in consonanza con il simbolismo del tempo, tutta una festa del 3 e del 9, dell’1 e dell’11.
Se, come abbiamo già detto consideriamo l’intelaiatura di tutte le pareti come una serie di quadrati,


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se ne contano 333 (escludendo dal conto gli affreschi sui due lati brevi:L’incoronazione della Vergine sul lato est e San Marco Elemosiniere sul alto ovest), che sono 3 le fasce in cui sono distribuiti tali riquadri (come commenteremo presentando il “comparto tipo”). Ad ogni angolo dello straordinario rombo, quasi a fissarlo, ci sono riquadri multipli di 11 o legati all’ 1 e al 3 (il n° 100=1, il n° 111=3)
Insomma una vera e propria universalizzazione dell’1 e del 3.
Ma non basta. Gli stessi principi sono sottesi alla composizione del “comparto tipo”, il comparto cioè che racchiude ogni mese. Eccovi lo schema.

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Ciascun mese, di cui l’Apostolo indica l’inizio, occupa in tutto 9 riquadri di lunghezza e 3 di altezza. Queste 3 fasce (A– B– C) hanno precisi connotati astronomici, che s’appoggiano ai più visibili concetti di “alto”(A) e “basso” (C):
*in alto (A) c’è il Cielo delle Stelle Fisse, e qui, ed esclusivamente qui – seppur in disordine – si trovano le costellazioni extrazodiacali;

*nella fascia mediana (B) c’è lo zodiaco, dunque i Segni e i Pianeti che li governano

*nella fascia in basso (C) c’è la Terra, il mondo sublunare. E qui infatti sono collocati gli Angeli che segnalano l’Elemento, a cui il Segno appartiene.

Come si capisce solo un grande astrologo come Pietro poteva presentare, con tanta elegante padronanza, le complesse gerarchie celesti. E certe volte mi è nato il sospetto che proprio questa intelaiatura indecifrabile ai più, abbia contribuito a perpetuarne la memoria.

Notiamo en passant, che anche l’Apostolo ha la sua sottolineatura, poiché occupa ben due riquadri: il tempo dello spirito, viene da dire, si intreccia naturalmente col tempo delle opere e dei giorni. Ma l’imponente presenza dell’Apostolo ha avuto un ruolo importantissimo, in quanto ha anch’esso contribuito – e questa volta per la sua evidenza –a salvato la memoria dell’impianto complessivo degli affreschi. Perché di “confusioni”, con i vari rifacimenti e restauri, se ne sono fatte più d’una. Potete già rendervene conto “davanti” al comparto di maggio/Gemelli - ho scelto un esempio eclatante - con i Gemelli zodiacali spostati nel comparto successivo! Per il resto vi rimando alla mia Guida.

Ma torniamo alla cabala del numero.
All’interno di ogni comparto ci sono 3 riquadri con inserito un arco a tutto sesto o ribassato. Perché questa sottolineatura? Perché questi sono riquadri particolarmente importanti, giacché racchiudono nell’ordine:

A) il MESE (in genere con l’attività agricola connessa)

B) il SEGNO ZODIACALE

C) il PIANETA GOVERNANTE il Segno.

Per motivi di chiarezza ho, nella mia Guida, di proposito lasciati in bianco gli altri riquadri, che però sono da me quasi tutti commentati e individuati secondo la orizzontale e la verticale.
Ora quest’ordine è stato quasi sempre mantenuto, ma ci sono anche eccezioni vistose (per un astrologo), ma non per i vari restauratori. Pietro d ‘Abano era, come lo sono anch’io, ligio a Tolomeo – forse per questo ho potuto riconoscere il “filo” del suo pensiero nel Salone – ed ha coerentemente immesso la Teoria dei domicili planetari nella descrizione dei Pianeti governanti. Tutto questo nella sensibilità dell’epoca, per cui notturno diventa sinonimo di spriritualizzato ediurno di terrenoNon a caso i mesi/Segni più “pasticciati” del Salone sono maggio/Gemelli e gennaio/Acquario, i due Segni d’Aria incarnati da persone umane, domicili notturni di Mercurio e di Saturno e letti da Pietro come due modi diversi per raggiungere Dio, vuoi attraverso la contemplazione/conoscenza personale (Mercurio) o la sapienza di Dio, che si fa forza attiva di fede (Saturno).

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Ora il “segreto” più complesso.
Nello scorrere cadenzato e armonioso del tempo civile, religioso, zodiacale, c’è una sola interruzione, enfaticamente collocata proprio alla metà della lunga parete sud, in quella zona del Salone, dove, ai tempi di Pietro d’Abano era collocata la “pietra del vituperio”, azione più vistosa e solenne dell’amministrazione della giustizia nei confronti dei debitori insolventi: qui essi venivano fatti sedere e spogliati a ludibrio degli astanti. Ma ciò che in terra è infamia e condanna, in alto, nel cielo, nella fascia dove si trovano gli affreschi astrologici, c’è l’indicazione del riscatto e della via di salvezza. Essa è concentrata in un piccolo comparto a sé, di soli 9 riquadri (3x3) che sta esattamente al centro della parete. Un comparto che fin qui non è mai stato chiaramente delimitato - in buona sostanza i vari commentatori del ciclo hanno ripetuto la Guida di monsignor Barzon (1924), che ne estendeva le tematiche al contiguo comparto di maggio/Gemelli - e che ho chiamato il comparto del “sacro”(v. la zona in verde dello Schema generale). Vi si parla infatti del trapasso tra Antico e Nuovo Testamento, dunque della nuova religiosità del cristianesimo    che ha per fulcro il sacrificio di Cristo, ovvero il riscatto dalla colpa, la redenzione.

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Ora questo comparto non è introdotto come gli altri da un Apostolo che guarda frontalmente il visitatore, ma vede, girato di schiena, San Giovanni. Il suo volto, di profilo, è rivolto in alto – e all’indietro - ad incrociare un altro volto: quello della Madonna che ricopre il ruolo di Pianeta governante il Segno del Toro, dove Venere ha il suo Domicilio notturno. Ecco uno dei più espliciti esempi di “spiritualizzazione” dei Domicili notturni. Venere “pagana”, nella sua terrestre nudità, la troveremo in Bilancia, intenta a rimirarsi in uno specchio.

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Ma non voglio fermare la vostra attenzione su questa spiritualizzazione di Venere, quanto sulla unicità della posizione di San Giovanni all’interno del ciclo. Egli fa parte a sè; non introduce alcun comparto del mese; e, volutamente, è stato così collocato.

La soluzione più facile ed ovvia era quella di preporre i 12 Apostoli ai 12 Segni. Perché complicarsi la vita? E lasciare i Pesci, ultimo Segno, senza Apostolo? Che cosa voleva dirci Pietro d’Abano di così importante? La mia risposta è decisa: la via giovannea alla fede.

San Giovanni, come si sa, è dei 4 Evangelisti, l’Evangelista del logos, l’Evangelista imbevuto della filosofia gnostica, nonché sincretistica; egli è ben diverso dagli altri tre Evangelisti (Luca, Marco e Matteo – li cito in ordine zodiacale), chiamati sinottici, proprio perché danno un racconto del Cristo assai uniforme. Ora l’approccio giovanneo alla fede è tipico degli intellettuali, alla quale cerchia, ai suoi tempi, apparteneva certo Pietro d’Abano, conoscitore, dati i suoi viaggi e studi, anche della filosofia sufica.

Sempre a Padova, un secolo più tardi, un altro grande, Mantenga, rivela le stesse “simpatie”.
Il suo tanto contestato affresco agli Eremitani, “L’Assunzione della Vergine”, vedeva la presenza di 8 e non di 12 Apostoli in stupita visione. La cosa si racconta, gli procurò lo scontento della committente e il dileggio del suo ex maestro/tutore, lo Squarciane. Ma se si va a leggere il Vangelo secondo San Giovanni, si scoprirà che egli non cita, come gli altri Evangelisti i 12 Apostoli, ma ne cita…solo 8.
Ritornando, per concludere, al nostro ciclo e agli Apostoli, notiamo un’altra alterazione espositiva: Pietro d’Abano non inizia la serie, com’è tradizione, con San Pietro, ma conclude con lui. Il che ci fa dire che nel Salone si muovono due modi diversi di vivere la fede: uno tutto interiore, filosofico, giovanneo, cheporta in sé la sua chiesa, in contatto diretto con Dio; l’altro strutturato nel mondo, nella chiesa visibile, di cui Pietro è fondatore.

Nel Salone queste due Chiese coesistono, l’assenza di ogni dogmatismo è nella più profonda natura di Pietro d’Abano, ma è facile intravedere a chi delle due Pietro fosse più vicino. Finora però questo messaggio segreto non era mai stato svelato.

 

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